PRANA e VAYU – di Perlita Benedetti

VĀYU

Quando penso al respiro, mi viene subito in mente la parola sanscrita prāna, che in realtà, nella tradizione yoga, ha diversi significati e il respiro è soltanto il veicolo fisico del prāna. Questa parola indica sia la forza vitale che pervade tutto il cosmo sia la forza del singolo individuo, che sostiene l’attività vitale e dura finché dura la vita.

Di prāna è costituito il prānamayakośa, il corpo pranico, il secondo dei cinque involucri che avvolgono l’atman, successivo al corpo di cibo annamayakośa e che è sorretto da una fisiologia sottile, di forze, energie e soffi vitali.

Cercando nel vocabolario sanscrito la parola prāna, troviamo tra i significati quello di respiro, ma l’etimologia aggiunge altre informazioni: deriva dalla radice verbale √an- che significa respirare e poi vivere, in correlazione con il greco ανεμος e il latino anima; è preceduto dal preverbo indeclinabile pra- che significa in avanti, verso, connesso con il greco προ, latino pro e inglese fore. Quindi prāna include una direzione del respiro in avanti, verso avanti, si tratta di un’energia che nutre e permette di muoversi e agire nel mondo.

Nella parola re-spiro invece potremmo pensare che la direzione sia opposta: la particella re-­ indica indietro o ripetizione, ma sembra perdere quella dimensione di avanzare nella vita.

Potremmo a questo punto chiederci se la scelta di pra- indichi una cultura che vive in ogni atto respiratorio, quotidiano, la connessione con i piani sottili in apertura con ciò che verrà? mentre re-­ possa esprimere il contrario, il tirare indietro il soffio, forse in un atteggiamento di prendere o introiettare? Forse c’è una maggiore rilevanza da un lato all’espiro e dall’altro all’inspiro?

É affascinante cercare di osservare tra piccoli dettagli linguistici il punto di vista delle culture nell’approcciare e testimoniare la vita.

 

Prāna indica quindi l’energia vitale in generale, ma è anche uno dei 5 vāyu, vento, soffio, corrente, aria vitale: viene da una radice verbale √vā- che significa soffiare del vento, correlato a ventus latino e a wind inglese, e da cui viene anche l’altra parola per indicare vento: vāta.

Vāyu è anche personificato come la divinità del vento, spesso associato a Indra nel Rgveda, e rappresentato su un antilope o su un carro splendente, tirato da una coppia di cavalli rossi o porpora o da gruppi di 99 o 100 o migliaia di cavalli.

I testi citano anche altri vāyu minori, ma 5 sono i principali:

-apāna: il preverbo apa-­‐ indica via, fuori da, giù, perciò è la corrente che si muove verso il basso, dall’ombelico in giù, sottendendo alle funzioni di espulsione ed evacuazione, la sua sede è l’ano

-samāna: la sua sede è nell’ombelico, si muove nella regione addominale sopra l’ombelico, tra prāna e apāna, è responsabile della digestione e dell’assimilazione, infatti il prefisso sama- indica con, insieme

-prāna: è la corrente che si muove dall’interno verso l’esterno del corpo e viceversa, sottende alla respirazione e all’assunzione del cibo, la sua sede è nel cuore, tra il naso e il petto

-udāna: il prefisso ud-­‐ indica verso l’alto, fuori, a parte, è la corrente che spinge in alto (in caso di vomito), sottende all’espressione e alla comunicazione, ha sede nella gola e si muove nel collo e nella testa

-vyāna: il prefisso vi- significa via da , attraverso, e indica divisione e distribuzione, è la corrente che circola ed è diffusa in tutto il corpo, ma è anche quella che va via dal corpo: è l’ultima a lasciare il corpo in questa dimensione e la prima a pervaderlo nella prossima dimensione; viene personificato come un figlio di Udāna e padre di Apāna

Come il vento porta informazioni diverse a seconda di dove soffia, in alta montagna, in spazi aperti o in riva al mare, così anche i vāyu, i venti sottili del nostro corpo, quando soffiano in determinate regioni, prendono un nome specifico e veicolano funzioni, trasformazioni, colori e suoni diversi.

 

Questa energia vitale, il prāna, scorre all’interno di canali, nādī, i testi dicono che ce ne sono 72.000 o 350.000 nel corpo, sono sottilissimi, percorrono tutto il corpo, incrociandosi fino a terminare in una cellula o in un pelo. Nādī significa stelo, cavo, ma anche suono, vibrazione, risonanza.

Più le nādī sono libere, meglio vi scorre il prāna e per purificarle dall’impatto delle emozioni e dei drammi mentali, come insegnano i maestri indiani… c’è da fare “a lot of nādī-­‐śodhana”!

Perlita Benedetti

 

“Enciclopedia dello yoga”, di Stefano Piano – Promolibri Magnanelli, Torino, 1996

“Yoga dall’armonia alla gioia”, di Gilda Giannoni – Magnanelli, Torino, 2012

“Il libro completo delle tecniche yoga”, di Alberto Stipo – Magnanelli, Torino, 2001


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